Il mio incontro con Papa Francesco

Visita dell'Ail al Santo Padre 2019

IL racconto di Luigina De Santis dell’incontro dell’AIl di Benevento con il Santo Padre

Il mio incontro con Papa Francesco – nell’udienza del 2 marzo 2019, in occasione dei 50 anni dell’AIL – ha il volto di Ludovico, otto anni, malato di leucemia. Faccino paffuto, capelli neri irti e arruffati, occhioni scuri e profondi, sorriso furbetto e sornione.

Me lo son ritrovato accanto, lungo le transenne che perimetravano il percorso del Pontefice, dove sono finita nel mio giro di perlustrazione, per ingannare la lunga ora di attesa nella bellissima Sala Nervi. E mi ha regalato un’emozione fortissima. Tra un po’ di battute sul “costumino” della guardia svizzera, lì davanti a noi, le esortazioni perché non spingessero troppo a quanti si andavano accalcando alle spalle, le incitazioni della nonna a urlare il proprio saluto al Papa, il racconto furtivo e frammentario della mamma – lui non sa di essere malato… quell’ora è trascorsa veloce.
Il pesante tendaggio di velluto marrone si è aperto e Papa Francesco è arrivato. Travolto dall’entusiasmo festante dei fedeli, quasi pressato dalla scorta, sembrava non aver visto Ludovico. Ma i gesti e le urla di quanti eravamo accanto al bambino hanno fatto sì che, un passo indietro, lo abbracciasse e posasse la mano sul suo capo, giusto un attimo… che però vale la speranza di una vita.

Le lacrime della mamma e della nonna hanno contagiato anche me, nella commozione persistente – un misto di speranza e di rassegnazione, di sollievo e di patimento – che aleggiava nella sala. Alimentato dalle tante storie di malattia testimoniate dai presenti, quelle di quanti ancora son qui e quelle di quanti, invece, non ce l’hanno fatta. Le letture dei ragazzi sul palco, tutti adolescenti che troppo presto, di persona o indirettamente, hanno conosciuto la sofferenza, non potevano certo scivolare nell’indifferenza.
Il breve discorso del Papa ha sottolineato il valore della solidarietà e della cooperazione che sottendono le ragioni d’essere dell’AIL, che da sempre guarda al paziente come persona, oltre la malattia, aiutandolo a non sentirsi uno “scarto” sociale.
Ma più che la ritualità delle parole, sono state le strette di mano ai malati, le carezze e gli abbracci ai bambini, le tantissime mani protese al passaggio di Papa Francesco, il momento più toccante dell’incontro. Quelle mani lanciate nel tentativo di carpire il suo tocco, in un contatto che potesse trasmettere prossimità e speranza. Quasi che la testimonianza dell’essere lì nonostante la malattia e la speranza di farcela avessero bisogno della conferma del contatto fisico, per esprimersi proprio attraverso il corpo, che pur ci tradisce e si ammala.

La prossimità del toccare, il contatto, ribadiva la condivisione della speranza, quella di una vita piena grazie a cure efficaci. È questa speranza a cementare l’appartenenza alla grande famiglia dell’AIL, nella consapevolezza che la vicinanza, declinata nelle tante forme dell’assistenza medica, della ricerca scientifica, del sostegno psicologico, dell’aiuto economico, del conforto amicale, è un’arma potente contro la malattia. Con Nietzsche, “ogni malattia che non uccide il malato è feconda”, apre alla solidarietà e all’ascolto, alimentando la lotta, che insieme possiamo vincere.

Luigina De Santis

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